Normalmente – come sa chi segue il mio sito – non pubblico interventi di altri e le “incursioni” di Paolo Amaro dal suo “angolo” sono sempre rare, ma questa volta voglio fare un’eccezione perché il mio amico e collega Prof. Gianfranco Ricci ha risposto al mio intervento su La tragedia di Genova con un testo che, oltre a sentire come un fraterno, fortissimo abbraccio, riprende quel tema dell’abbassare i toni, quella richiesta di riflessione che in tempi come questi costituirebbe un primo segnale di speranza… Ringrazio Gianfranco di avermi consentito la riproduzione del suo testo, segno di un’amicizia e una fiducia reciproca cementata dagli anni:

… ho letto. Sto vivendo una situazione di difficoltà, di angoscia, di dramma nel dramma. È drammatico l’evento ed il come ci siamo arrivati (negligenze, tirchierie, supponenze di una politica così poco da area metropolitana e così tanto da area periferica di un piccolo centro di provincia): mi ricordo bene di tante nostre discussioni, chiacchierate amichevoli nell’andare a fine giornata verso Sampierdarena (tu a casa ed io proseguendo  attraverso Ponte Morandi verso Savona, verso casa mia). Da Genovesi, tu per nascita ed io quasi per adozione a causa del mio lavoro (quanti anni passati insieme a Magistero, poi alla Facoltà di Scienze della Formazione e per ultimo all’omonimo  Dipartimento), con un’amicizia sempre crescente a mano a mano che le nostre esperienze di studio e di lavoro ci hanno permesso di discutere, confrontarci, seppure da posizioni ideologiche diverse (tu da progressista moderato ed io da conservatore moderato) su questa nostra Liguria.

Ricordo quando si parlava di probabile sospensione del traffico sul Ponte Morandi per permetterne una radicale ristrutturazione, e poi di piani di rafforzamento della struttura in modo che non si dovessero creare troppi problemi all’utenza ed al territorio di riferimento e poi ancora di …. gronda. E qui i vari no global hanno detto dei no acritici potenzialmente pericolosi. Tra le tante  discussioni ho visto Ponte Morandi spesso con qualche intervento di sostegno più o meno invasivo; negli anni ho capito, passandoci sopra, che il tappullismo la faceva da padrone.

Ora il Ponte non c’è più,  con tutti i suoi morti, ma l’opera di sciacallaggio di chi accusa, di chi si difende e di chi fa finta di stupirsi per l’altrui sciacallaggio continua e sembra sempre più prendere virulenza. Se forse riuscissimo ad abbassare i toni, a fare un poco di silenzio per riflettere, per ragionare, per pregare, secondo le proprie convinzioni e credenze, forse ci metteremmo nella giusta strada da percorrere per riparare i danni fatti, per riprendere a continuare a camminare verso un futuro che sappia tenere a mente gli errori fatti per non ripeterli più.

Caro amico una confidenza: sempre, passando nell’entroterra di Sampierdarena trovavo inquietante quel ponte sopra la testa e pensavo con tanta apprensione a chi lì abitava, ma non sentivo lo stesso sentimento di angoscia forse quando passavo sul Ponte anche perché istintivamente passavo accelerando. Forse un poco vigliacco? Forse sì!!

Prima di salutarti, lascia che ti racconti un proverbio cinese, che da tanto mi accompagna e che forse ti avrò già raccontato: “il futuro è come un sentiero di campagna, il continuo scalpiccio dei passanti fa sì che il sentiero si faccia strada e…. autostrada”. La metafora mi sembra appropriata. Abbiamo bisogno di un futuro che ci faccia proseguire con la giusta serenità. Mentre ti abbraccio, vorrei essere vicino a tutti “voi che siete nati a Genova”.

Gianfranco